2. le città del presente dormiente

Anche noi a Terracina, naturalmente siamo nella stessa situazione di tutti: “il vecchio secolo è sepolto”, sotto i balconi sgranati dai palazzi di questa città, in questa urbs prona in paludes, viviamo sotto il dominio del pipistrello, corpo di topo e ali di uccello, appollaiato silente e dormiente dentro le sue stesse palandrane, in sospensione, a testa in giù, che riempie l’immaginario collettivo della vampiresca ansia di un sangue che non beve, ma che in realtà si lancia di notte in un vacuo svolazzare per sopravvivere cibandosi di insignificanti zanzare. Svolazzano improbabili dirigenti svuotati di idee generali, senza una visione d’insieme, perché quella visione potrebbe non essere gradita a fette di elettori che invece bisogna assecondare, nella illusione, direi nella presunzione, che albero dopo albero, si riesca a capire la foresta. In tutti questi anni, tanti candidati che sono diventati consiglieri, consiglieri che sono diventati assessori, tutti mi sembrano tanti tenenti giapponesi, vissuti per anni in mezzo agli alberi, pronti a combattere una guerra finita da quarant’anni.

Così è per le città, così è per la nostra città, per Terracina, dove tanti giapponesini ignari combattono una guerra contro un nemico che non c’è; in una città che, albero meno albero, rischia di è sprofondare in una nuova palude di asfalto. Una città, Terracina, che ha perso la propria valenza e la propria vocazione. Una città espropriata, di cui in questi anni abbiamo inutilmente denunciato i tanti alberi malati di incuria. Non ne farò il noioso almanacco. Tutti sanno dei pregi e dei difetti, delle delusioni e dei deludenti, dei tentativi falliti, dei rifiuti esibiti, delle dolci rivoluzioni finite in amare restaurazioni. Non insisterò oltre. Basta avere la consapevolezza che alla fine, senza alberi, resterà per noi soltanto l’artificio di una foresta artificiale, di cemento, appoggiata sul mare. E dentro tanti cittadini perduti in anonimi centri commerciali che hanno sostituito case che potevano essere dedicate alla cultura; in luoghi trasformati in spazi malamente organizzati; in comparti urbanistici degradati a depositi di vita; in angoli di palazzi generici all’incrocio di biforcazioni di biforcazioni che non portano in nessun posto; cittadini impiccati al crocevia di un labirinto di strade, senza identità e senza identificazione. Terracina è una città espropriata da se stessa che sta perdendo la propria valenza e la propria vocazione.

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