3. le città appropriate ad un auspicio

Eppure, per non perderci, mai come ora, avremmo bisogno di mappe. Senza una o più mappe, continueremo a girare a vuoto, una volta finiremo da una parte, un’altra volta dalla parte opposta. Non riusciremo ad andare dove dovremmo e dove vorremmo andare. Senza sapere come muoverci, infine, resteremo fermi alla noiosa autoesaltazione o nella altrettanto noiosa autoflagellazione. Comunque staremo fermi, come sempre, nello stesso posto, nella cronaca a guardare passare il tempo degli altri e della storia. Senza avere una mappa, un sogno, una ipotesi, addirittura una teoria, una immagina, una certa immaginazione, comunque una visione complessiva della nostra società e del tempo storico che stiamo vivendo, non potremo avere più niente.

Se fossi un dirigente politico di una città, della mia città, mi preoccuperei più del disegno complessivo che della soluzione singolare, più della foresta che degli alberi, più di ciò che siamo e ciò che vogliamo essere, per noi e per i nostri figli, nel contesto provinciale, regionale, nazionale e internazionale. Certo bloccherei la commiserazione, il piagnisteo di ciò saremmo potuti essere e non siamo. Non mi appartiene. Se fossi un dirigente politico locale mi impegnerei a capire ciò che possiamo eliminare e ciò che non possiamo assolutamente perdere e perché, principalmente perché: insomma, quale qualità di vita vogliamo, quale livello di convivialità possiamo e come.

La politica è una azione educativa, quasi pedagogica, di conoscenza del reale, non perché possiamo insegnare qualcosa a qualcuno, ma perché possiamo imparare l’uno dall’altro discutendo tra noi. Invece il silenzio è assordante perché il silenzio cela i difetti, è un manto nero che copre le incompetenze e gli interessi.

Invece, come appunto spiega Calvino, “Forse tutto sta a sapere quali parole pronunciare, quali gesti compiere, e in quale ordine e ritmo, oppure basta lo sguardo la risposta il cenno di qualcuno, basta che qualcuno faccia qualcosa per il solo piacere di farlo, e perché il suo piacere diventi piacere altrui: in quel momento tutti gli spazi cambiano, le altezze, le distanze, la città si trasforma, diventa cristallina, trasparente come una libellula.

Una discussione libera e liberata dalle mille paure, in diversi luoghi, in modo che “tutto capiti come per caso, senza dargli troppa importanza, senza la pretesa di star compiendo una operazione decisiva, tenendo ben presente che da un momento all'altro la Marozia di prima tornerà a saldare il suo soffitto di pietra ragnatele e muffa sulle teste”.

Il mio auspicio è lo stesso. Sappiamo che la nostra città, come ogni città, “consiste di due città: quella del topo e quella della rondine”. Sappiamo che “entrambe cambiano nel tempo”. Sappiamo pure, però, che “non cambia il loro rapporto: la seconda è quella che sta per sprigionarsi dalla prima.

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