6. le città incorporate nei network

Oggi, nelle nostre città, la sintesi dialettica gramsciana è possibile.

Alla società della comunicazione spetta la eccezionale opportunità di questa congiunta coniugazione, di questa combinazione. Spetta il compito impegnativo ed affascinante della traduzione – come dice Recalcati[1] – dello slogan ipnotico in azione politica. E lo può fare individuando, piuttosto che spazzi di aggressione per componente,  luoghi di confronto competente, anche se non specializzati, in cui i progetti siano sottoposti al vaglio della discussione critica.

Kafka[2] ci ha insegnato che inseguendo tutte le strade non si arriva al Castello. Si gira a vuoto, sempre intorno, inutilmente, senza sapere dove andare, ignorando come arrivare e si muore in disperati, vani tentativi. Ci vuole una mappa per raggiungere il Castello. Senza una mappa, per quanto fallace, non si arriva a nulla. Il Castello si può raggiungere solo con una mappa e magari con un mezzo di trasporto. Il nostro mezzo di trasporto è la comunicazione che oggi ci permette di  disegnare mappe, mappe glocali, mappe per network.

Se, dalla conquista della posizione retta, condotti da una logica endofasica, l’enormità e poi la norma per gli esseri viventi è stato l’organismo comunitario di accoglienza e socializzazione (I cosmogonia); se, dagli egiziani in poi, attratti dalla forma e dalla formalizzazione della logica sillogistica, questi stessi umani hanno introdotto le strutture gerarchico-piramidali delle organizzazioni burocratiche (II cosmogonia); se dalla rivoluzione industriale alla caduta del muro di Berlino, arrovellati nel processo e procedimento della logica computazionale, i soliti umani hanno differenziato l’azione e l’organizzazione sociale in funzioni sistemiche modulari (III cosmogonia); allora la società della comunicazione in cui viviamo, attratti dalla condizione e dai condizionamenti della logica quantistica, ha come decalogo (e al tempo stesso come sua falsificazione) la connettività dei network (IV cosmogonia).

La rete, il network è l’organizzazione sociale prevalente della nostra epoca storico[3].

Ogni organizzazione, per corrispondere al nostro tempo e sfuggire i rischi concreti della sua endemica obsolescenza, per non depauperare nella insignificanza del vacuo parlare in stanze vuote, deve essere una rete.

Pertanto, anche le città moderne non possono che essere un network, una rete, fatte di poli, fatte anche di vuoti, ma di moltissime, connotative connessioni. E, proprio come tutti i network, come il cervello, se non si curano le connessioni, le sinapsi si spengono, i poli scompaiono, cadono nel lento allentamento della desuetudine, nell’annientamento della propria evanescenza ed evaporano. Con città mute come queste, cadono solo foglie morte dall’albero della politica, in un lungo inverno.

Sui social network ascolto, troppo spesso leggo, tante parole deluse. Altrettante deludenti. Attribuiscono la colpa a questo o a quello. In molti diamo per assodato che le cose non cambieranno di molto. La delusione è tanta. E non scomparirà per la buona volontà di qualche candidato nominato o, addirittura, autoproclamato.  Occorre che torni la politica in città. Occorre che ritorni la duplice dimensione politica della rappresentanza e della rappresentazione.



[1] Recalcati Massimo, PATRIA SENZA PADRI, Minimum fax, Roma 2013

[2] Kafka Frank, IL CASTELLO, Feltrinelli, Milano

[3] Tema che rimando ad altro testo e ad altra discussione.

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