C'ero anche io, al congresso del partito, al Capranica, ieri, in una stupenda giornata di sole che attendeva la pioggia minacciata terroristicamente da previsioni metereologiche, ero li, tra circa 600 compagni, ancora compagni, al Capranica, in una mattina di novembre, senza riconoscere nessuno, ad ascoltare Bersani con il suo linguaggio ragionieristico emiliano, dire che, rispetto alla storia soc ialista, una pratica bisognava chiudere ed un'altra aprire. Io ero li, in fondo alla sala del Capranica, a Roma, sabato 10 novembre, di mattina, rinunciando al sole per le parole, tra bandiere svolazzanti e telefonini squillanti, ero li a pensare che la storia socialista non è una pratica da chiudere e un'altra da aprire, non può essere liquidata così, archiviata in una qualsiasi cancelleria, nella efficiente burocrazia della superficialità storica e politica. E non sapevo perché votarlo Bersani, perduto in interlocuzioni incomprensibili, dizioni improbabili, intuizioni inesprimibili. Le cose che fa sono certamente migliori di quelle che dice, in un'epoca funambolica e illusionista in cui si predica bene e si pratica malissimo. Ho pensato che Bersani fosse l'unica vera persona in controtendenza rispetto al flusso incessante della comunicazione politica, a suo modo emarginato dall'eleganza dell'eloquio. Finché non ho capito, sabato 10 novembre, al Capranica, in una Roma accogliente e popolosa, nel ricordo dei congressi del mio partito, tra socialisti insperati e attesi, finché non ho capito che quello non era un patto, ma una stretta di mano, meglio ancora, una mano tesa, la mano rugosa di un instancabile lavoratore emiliano che, contro la volontà pervicace dei D'Alema e dei Veltroni di affossarci per sostituirci, vuole aiutarci ad uscire dall'ombra, per permettere ai socialisti italiani di lasciare ancora la loro orma inequivocabile ed insostituibile nella storia italiana ed europea. Solo allora, alle 14,00 di sabato 10 novembre 2012, al congresso del partito che potrebbe tornare ad essere mio, che sempre è stato mio, che ancora è mio e che mio sarà comunque, ho deciso solo allora che quella mano bisogna afferrare per uscire dai tuguri oscuri e silenziosi della dignità offesa. |