Egr. Sindaco del Comune di Pomezia, Piazza Indipendenza 1 00040 Pomezia
Terracina 3 aprile 2012 Caro Enrico,
Ti scrivo nella ferma consapevolezza che, come tuo costume, non risponderai; ma solo per fare in modo, semmai un giorno ci dovessimo incontrare di nuovo, che tu non possa dire che non sapevi nulla. Gli emissari per la chiusura dell’Università stanno completando il loro lavoro con il licenziamento graduale di tutti i dipendenti. Hanno cominciato, per vendetta e personale reciproca antipatia, da Delia Fiorini e me. L’atto è chiaramente illegittimo e privo di una qualsivoglia giusta causa, ma a questo provvederà la magistratura e i miei avvocati. Tantomeno ti scrivo per lamentare la mia condizione personale e professionale. Nella “storia universale dell’infamia” c’è una lunga schiera di intellettuali vittima del sopruso e della ignoranza, invisi al potere ottuso della mediocrità. Mi lego anch’io a questa schiera. Alle angherie irrisorie degli spavaldi saprò reagire, come ho sempre fatto in tanti anni di vita politica e di attività professionale. Al limite, ciò che lamento, è di non essere mai stato ascoltato. È stata utilizzata, contro di me, una precisa tattica di confusione, per coprire, con il rumore delle parole vuote, fatti dannosi e comportamenti assurdi. In nessuna sede un confronto programmatico tra ciò che è stato fatto, tra ciò che bisognava fare, è mai avvenuto nonostante le mie numerose richieste. Nessuno ha mai nemmeno tentato di vedere le carte, leggere i documenti, discutere i report. Nessuno ha mai cercato una valutazione critica. Si è creduto per fede alla furia iconoclasta di alcuni Kamikaze. Tuttavia il tempo del confronto e della comunicazione non è concluso. Ora che il tuo progetto di “Campus degli Studi e delle Università di Pomezia”, comunicatomi con una entusiasta telefonata una domenica mattina, è stato definitivamente distrutto; ora che tutti quelli che lo hanno sostenuto sono stati eliminati per favorire tutti quelli che lo hanno avversato (con una logica autodistruttiva che ti allontana gli amici e ti avvicina i nemici); ora che il danno alla città e ai cittadini si è fatto definitivo e irreversibile; si potrà valutare davvero ciò che c’era e ciò che c’è, la trasformazione di un polo multidimensionale di ricerca e formazione in un ostello sbilenco di provincia. E si può valutare se varrà la pena che il comune spenda circa 2 milioni di euro l’anno per mantenere (con tanto di presidente, vicepresidente, consiglio di amministrazioni e revisore dei conti) un albergo fatiscente. Ti scrivo, dunque, non più come Direttore Scientifico del Consorzio per l’Università di Pomezia (che non c’è più), ma come cittadino e militante del tuo stesso partito, per denunciare il danno che decisioni scellerate hanno prodotto per la città di Pomezia e l’intero hinterland; un danno che si estende alla identità dei democratici italiani che, per cultura e vocazione, sono contrari alla furia irragionevole e infantile di ogni atteggiamento fascista. Ti scrivo per riaffermare la validità e l’importanza qualitativa e quantitativa del nostro progetto di Campus, a cui credo fermamente come modello sperimentale di riforma delle Università italiane; e per il quale, oggi più che mai, continuerò a lavorare: anche per combattere, con maggiore entusiasmo ed energia, la degenerazione di chi (come denunciato da Pasolini a Sabaudia), elimina ogni forma di cultura per piegare il pensiero all’oscurantismo della omologazione; di chi, al confronto critico, preferisce la baldanza dei sergenti. Con immutata amicizia Alessandro Ceci |