Lettera aperta ai nuovi Parlamentari Europei

Cari Onorevoli Parlamentari Europei,

tanti di noi sono convinti, con Jurgen Habermas, che l’Europa sia travolta da una “spirale tecnocratica[1] causata da 3 fondamentali ragioni:

  1. per una ragione STORICA, che, dopo aver seguito normalmente la vita nazionale e il suo protagonismo, “risveglia fantasmi storici nei paesi vicini[2] alla Germania;
  2. per una ragione POLITICA, relativa a un “auto-esoneramento neoliberale[3] che scinde la complementarietà della politica con il mercato e lascia inevitabilmente libero spazio alla pressione finanziaria;
  3. per una ragione ECONOMICA, rispetto alle decisione prese dalla Banca Centrale Europea che, con il tasso unificato “non ha potuto calmierare le forti divergenze di crescita e di inflazione delle economie nazionali[4].

Il vortice della spirale si mostra nel paradosso in cui siamo stretti e costretti: per evitare di danneggiare in maniera irreparabile il progetto dell’Unione Europea che abbiamo perseguito nel dopoguerra dobbiamo approfondire l’unione politica alla ricerca di una sostanziale legittimità democratica; “non possiamo evitare la prima cosa senza realizzare la seconda[5].

La soluzione, per Habermas, sarebbe trovare nuove forme nazionali per un “esercizio comune dei diritti di sovranità[6].

Tuttavia, sebbene necessaria, la soluzione proposta non è sufficiente.

Non è sufficiente perché è una soluzione sostanzialmente nota e, se non si è ancora realizzata, devono esserci uno o più vincoli superiori alla volontà dei singoli. Senza considerare che, anche se con eccessiva lentezza, questa soluzione è già in corso. Più che di una proposta si tratta di una verità che corrisponde ancora parzialmente allo stato delle cose reali.

Habermas, come anche tanti altri, pensa all’Europa come una replica del modello più o meno classico dello Stato liberal-democratico in quanto “geniale invenzione che… coniuga l’eguale partecipazione all’auto-trasformazione collettiva (Kollektive Selbsteinwirkung) con la tutela di libertà economiche parimenti distribuite[7].

Sennonché questo Stato non c’è più e, se l’Europa avesse come riferimento quel tipo di organizzazione continentale, sarebbe davvero un luogo di ruderi e cadaveri. Se ancora non lo è, è perché fin dall’inizio l’Europa non ha avuto o non ha potuto avere quel riferimento organizzativo. Anzi, forse la profonda crisi europea è dettata proprio dalla spinta a realizzare una forma di super Stato che non vale più nemmeno come riferimento istituzionale per gli stessi Stati membri dell’Unione.

Le nuove organizzazioni politiche continentali sono molto diverse dalla struttura del vecchio Stato liberal-democratico; almeno perché, come ho sostenuto in un libro scritto ne lontano 2006[8], la società della comunicazione ha sostituito il principio di rappresentanza (ti voto e mi rappresenti) con la relazione responsiva (introduco un input nel sistema comunicativo e ricevo un certo tipo di output elettorale).     In altri termini, il passaggio dalla rappresentanza alla rappresentazione, con l’avvento della società della comunicazione, costituisce una vera e propria mutazione politica strutturale; una delle solo quattro mutazioni avvenute nella lunga evoluzione sociale dell’umanità[9].

È assurdo allora ritenere, di fronte ad un cambiamento così epocale e definitivo,  che le organizzazioni politiche istituzionali, specie se di dimensioni continentali, restino sempre le stesse immutate ed immutabili, l’immarcescibile Stato liberal-democratico che la storia ci ha consegnato e che ha costituito il nucleo innovativo della società industriale.

Non lo è più, però, nella società della comunicazione, dove si stanno costituendo invece, con una rapida accelerazione, Piattaforme Continentali di Nazionalità, che superano e assorbano i singoli Stati e li governano, non con un istituto o una istituzione sopraordinata, ma con il criterio totalmente nuovo della governance[10].  

La governance, secondo l’enciclopedia Treccani, è “insieme dei princìpi, dei modi, delle procedure per la gestione e il governo di società, enti, istituzioni, o fenomeni complessi, dalle rilevanti ricadute sociali[11]. La governance è una politica. Il government è uno strumento. La governance è costituita da procedure e regolamentazione di strategie di interazione sociale, mentre il government è costituito da leggi e regole di azione politica pubblica. Per  l’OECD - Organisation for Economic Co-operation and Development - (2001): “Government is no longer an appropriate definition of the way in which populations and territories are organised and administered. In a world where the participation of business and civil society is increasingly the norm, the term “governance” better defines the process by which we collectively solve our problems and meet our

society’s needs, while government is rather the instrument we use.”[12]

L’Europa è nata nella governance e questo suo connotato moderno non deve essere soffocato da una istituzione burocratica del novecento. La democrazia della comunicazione si organizza con politiche di governance. Il metodo margina-funzionalista di Jean Monnet era una politica di governance anche se costruita avendo più come riferimento gli Stati che i cittadini. Inoltre, era una governance totalmente economica, secondo uno schema di integrazione marxista, che vede nella economica e nei reciproci interessi la struttura insuperabile dell’orientamento politico e sociale.

Nella società della comunicazione non è più così. Gli elettori, sotto una pressione mediatica che orienta il sentiment collettivo e omologa i comportamenti individuali, possono votare anche contro i propri interessi. Le aspettative aperte su una background culturale programmato sono la motivazione più forte dell’orientamento politico.

Mi rendo perfettamente conto che, in una condizione economica che enfatizza la finanza speculativa, anche la governance economica vada decisamente riformulata e indirizzata, piuttosto che dalla parte dei governi, dalla parte dei cittadini.

Tuttavia, noi non realizzeremo l’Unione Europea se non ci impegneremo nella costruzione di un Sentiment Europeo Continentale, una coscienza culturale, una identità collettiva comune dentro i confini continentali Europei. Questa cultura è fortemente attrattiva e il Sentiment Europeo è una calamita irrefrenabile che scatena fortissimi conflitti di confine, come quello Ucraino.

C’è un Sentiment Europeo addirittura senza una politica culturale ed una strategia di comunicazione europea.

C’è un Sentiment Europeo senza una scuola europea.

Senza una istruzione europea non avremo mai una coscienza europea. Avremo solo una idea, vaga, generica, anche se ugualmente coinvolgente.

 

Mi rivolgo a voi, Onorevoli Parlamentari Europei, per chiedervi un impegno per la realizzazione di istituti scolastici Europei, di ogni ordine e grado.

Non ci vuole molto.

Si può partire dalle Università, costituire una commissione europea che integri i percorsi didattici universitari e conceda, agli istituti che si adeguano, l’autorizzazione a rilasciare un titolo europeo. È nella logica della governance utilizzare l’esistente per costruire il futuro. Non occorrono troppe innovazioni. Credo che, con l’ansia di avere un bollino di riconoscimento e un titolo Europeo diretto (piuttosto che uno nazionale riconosciuto come ora), molti Istituti Universitari sarebbero disponibili ad adeguarsi spontaneamente. Dopo questo primo più semplice passaggio, si troveranno i modi e le forme per integrare gli altri ordini e gli altri gradi della istruzione pubblica.

Auspico che la sede dell’Istituto Europeo di Studio, venga collocato a Ventotene, dove il vecchio carcere potrebbe facilmente essere ristrutturato e dove è stato firmato il Manifesto per l’Europa, come atto costitutivo fondamentale.

 

Vi ringrazio per la Vostra attenzione e colgo l’occasione per inviarVi i migliori saluti.

                                                                                                                                                                                                                      Alessandro Ceci

[1] Habermas Jürgen, NELLA SPIRALE TECNOCRATICA, Laterza, Bari 2014

[2] Habermas J., cit. 2014

[3] Habermas J., cit. 2014

[4] Habermas J., cit. 2014

[5] Habermas J., cit. 2014

[6] Habermas J., cit. 2014 secondo la dichiarazione di  Herman Von Rompuy

[7] Habermas J., cit. 2014

[8] Ceci Alessandro, INTELLIGENCE E DEMOCRAZIA, Rubettino, Soveria Mannelli, 2006

[9] Wilson O. Eduard, LA CONQUISTA SOCIALE DELLA TERRA, Raffaello Cortina Editore, Milano 2014

[10] Ceci Alessandro, COSMOGONIE DEL POTERE, Ibiskos, Empoli 2011

[11] http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/parole/delleconomia/governance.html

[12] Governo non è più una definizione appropriata del modo in cui le popolazioni e i territori sono organizzati e amministrati. In un mondo in cui la partecipazione dei rappresentanti degli interessi economici e della  1società civile sta diventano la norma, il termine “governance” definisce meglio il processo attraverso cui collettivamente risolviamo i nostri problemi e rispondiamo ai bisogni della società, mentre governo indica piuttosto lo strumento che usiamo.

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