LA CULTURA DEL BUONGOVERNO Lettera aperta al Presidente della Repubblica Italiana - 14 ottobre 2011 Egr. Presidente, come Lei noi sappiamo che essere italiani, 150 anni dopo, non è soltanto un riconoscimento storico e un apprezzamento. È una insuperabile opportunità di sviluppo e una responsabilità. Vede Presidente, se noi chiedessimo a tanti nostri amici quale sia il bene più prezioso della loro vita, cosa crede che risponderebbero? Ciascuno penserebbe nel modo più vario possibile, in funzione dei propri valori e della propria morale. Molti sceglierebbero sicuramente i figli o la famiglia, altri il lavoro, qualcuno l’amore, altri ancora il successo, gli scienziati la scienza, gli imprenditori l’impresa, molti il denaro, la serenità, la sicurezza e, in generale, i più intenderebbero affermare che il bene più prezioso sia la qualità della loro vita. Pochi ci risponderebbero l’ossigeno. Eppure, il bene più prezioso per tutti noi è l’aria che respiriamo, proprio quell’ossigeno senza il quale saremmo tutti morti e non avremmo più figli, famiglia, lavoro, amore, successo, scienza, impresa, denaro, serenità, sicurezza e nemmeno la qualità della vita. Non avremmo più niente. Non avremmo più vita. Tuttavia all’ossigeno, nella gerarchia dei valori individuali, nessuno pensa, perché è un bene collettivo e perché ne abbiamo tanto, lo respiriamo istintivamente, naturalmente, senza sforzo, sopravviviamo e lo dimentichiamo. L’ossigeno è normalmente rimosso dai nostri pensieri, è normalmente disponibile, lo diamo per assodato, per certo. Proprio questa certezza, però, ci deresponsabilizza, questa dimenticanza ci distrae, questa abitudine ci rende talmente indifferenti che ogni giorno inquiniamo e distruggiamo il nostro bene più prezioso, l’ossigeno che ci permette di vivere. Come si dice, alle cose che danno meno pensieri, si pensa di meno. Rispetto all’ossigeno siamo tutti deresponsabilizzati. L’ossigeno degli italiani è la cultura; non solo la nostra, ma gran parte della cultura intera della umanità. E il mondo ce la riconosce. Non sappiamo bene perché e come questo sia avvenuto. Nessuno in realtà lo sa davvero. La nostra impressione è che questa magica condizione storica si sia determinata a causa della unica e invidiabile posizione geografica italiana. La gran parte della presenza e la maggior testimonianza umana, la percorrenza e la navigazione, gli insediamenti e la edificazione, la coltivazione e i commerci, sono avvenuti attorno al bacino mediterraneo. Quel mare, che i Romani avevano interamente inglobato nel loro impero e che consideravano mare nostrum, è stato per moltissimi secoli l’alveo della coscienza e della conoscenza, l’emblema della eccentricità dell’uomo rispetto a tutti gli altri viventi. L’Italia in quel mare ci sta tutta dentro, come una grande piattaforma di accoglienza per diversi individui e culture diverse, di segni e simboli della evoluzione della intelligenza, della socialità e, principalmente, della politica. Noi abbiamo accolto tutte queste orme di vita e di storia, le infinite testimonianze di una sola presenza, le abbiamo contenute in un patrimonio che non ha eguali. La cultura è il nostro ossigeno. Senza la cultura noi non siamo niente nel mondo. Senza la cultura dei luoghi e delle cose, l’Italia non ha connotazione e, per certi versi, non ha giustificazione. Che cosa è il presidente di una Istituzione, di un Istituto, di un Organismo o di una Organizzazione, comunque di una associazione senza la cultura dell’Ente che rappresenta? Che cosa è un Sindaco italiano senza la cultura dei suoi luoghi? Un amministratore di condominio. Di un qualsiasi condominio indistinto. Non serve più nemmeno come soggetto politico, perché senza la cultura si svuota di significato la sua stessa presenza. Basta un funzionario. Senza la cultura quella presidenza o quel sindacato non serve più nemmeno a colui che lo assume, perché si spegne il ruolo e si delegittima il potere. Senza cultura ogni riformulazione è una falsificazione, ogni innovazione è soltanto una espropriazione. Stupida perché è una espropriazione della essenza della sua stessa esistenza in quell’Ente, in quel Comune. E, dunque, caro Presidente, noi italiani, noi cittadini italiani abbiano la enorme responsabilità di salvare in ogni modo e con tutte le nostre forze, l’ossigeno che ci fa sopravvivere, la cultura come segno e significato della nostra presenza nel mondo. Siamo noi italiani che lo dobbiamo fare per primi, proprio per il patrimonio che abbiamo ricevuto dalla storia. Siamo noi italiani che non dobbiamo mai deresponsabilizzarci, che dobbiamo sentire tutto il peso del pregio e del privilegio della cultura che abbiamo nei polmoni, nel sangue e sulla pelle. Non può che essere questo il nostro più radicale compito, il nostro principale, staremmo per dire esclusivo, impegno politico. Siamo noi che dobbiamo sentire tutta intera la responsabilità che abbiamo nella produzione e nella promozione internazionale della cultura. Il riconoscimento che il mondo è disponibile a concederci, per noi, è la delega politica più ampia alla responsabilità della tutela del più prezioso patrimonio universale. Quel riconoscimento indiscusso e il background culturale che lo avvolge è anche una insuperabile risorsa. A differenza delle tante sarcastiche denigrazioni dei pratici, dei liquidatori di ogni forma di pensiero critico, delle battute intrise di ignoranza, delle certezze presuntuose e pretese, la cultura è sviluppo, ricchezza e qualità della vita. La cultura è sviluppo, perché senza di essa non ci sono progetti, ipotesi di futuro, ambizioni, speranza e sperimentazione, non c’è esperimento, che è sempre il tentativo di trasformazione, l’applicazione di una idea e la possibilità di imparare dai propri errori. Se non c’è cultura non c’è ideazione e non c’è futuro. Se non c’è cultura lo sviluppo si riduce, al massimo, alla crescita, cioè alla banale amministrazione dell’esistente. La cultura è ricchezza, perché la risorsa principale della società della comunicazione è la conoscenza, nella forma di competenza professionale e di comprensione dei fenomeni sociali, nella produzione dei simboli indispensabili al marketing, di icone espressive di un certo modo di essere, che attrae i capitali come flusso (ad esempio quelli turistici) e come investimento (ad esempio quelli sulla qualificazione delle produzioni tipiche). Senza cultura dei luoghi, rappresentati iconograficamente ogni giorno sui media della società della comunicazione, non ci sono i soldi portati dalla presenza dei visitatori e dalla frequenza degli imprenditori. La cultura è, complessivamente, qualità della vita perché esprime un nuovo modo di stare insieme, il respiro della comunità, le relazioni che educano e che producono personalità, il piacere della convivialità che è stato ed è il grande valore dell’accoglienza dei comuni italiani. La qualità della vita è l’espressione più profonda della bellezza dei luoghi naturali e sociali, la serenità del Buon Governo, apparso emblematicamente nel Rinascimento italiano.
Diceva il più grande politico che la storia ricordi, il costruttore fisico della democrazia, Pericle: “noi amiamo il bello ma non lo sfarzo, la cultura ma non la mollezza”. L’espressione più emblematica di una cultura che non è mollezza e di una bellezza che non è sfarzo, più che nella Sua Atene, è avvenuta con il Buon Governo dei nostri comuni Rinascimentali italiani. E noi non Le scriviamo, Presidente, per piangere delle offese e degli insulti, delle derisioni e delle emarginazioni che ogni giorno, chi si preoccupa della politica riceve da chi la politica la occupa. Pier Paolo Pasolini ha denunciato il processo costante e quotidiano di eliminazione della cultura dalla tattica economica della società dei consumi. Un processo lento ed inesorabile, che non è riuscito nemmeno alle forme di tirannide e di totalitarismo che il mondo ha subito. Per favorire il la concentrazione del potere e della ricchezza nella società capitalistica moderna, diceva, dobbiamo essere tutti omologati, tutti vittime di un bisogno di consumo ossessivo e travolgente, tutti privi, deprivati di ogni pensiero critico. Per far questo ti tolgono giorno dopo giorno un luogo di confronto, un teatro, una università un centro di ricerca, una biblioteca. Ti lasciano da solo preda della omologazione mass mediatica, del desiderio omogeneo di massa che induce consumi falsamente individualizzati e che invece sono identici per tutti e attraenti per tutti coloro che, da omologati, vengono trasformati da cittadini ad utenti. La cultura è confronto. Per toglierti la cultura basta toglierti il confronto. Come vede Presidente il nostro è un progetto politico, a disposizione del buon governo che ancora ci può caratterizzare. Noi vogliamo impegnarci, con una serie di azioni precise a cominciare da questa lettera, a fare della cultura italiana un prodotto unico ed identitario della nostra nazionalità. Come luogo di confronto per la produzione della cultura moderna, oltre ai teatri, ai musei, alle università e a quanto altro di cui ci espropriano continuamente, ci è rimasto internet, lo spazio etereo del confronto tra pensieri, idee, sensazioni e sentimenti. Il parlamento italiano vuole censurare anche internet. Vuole gradualmente ridurre il luogo del libero scambio, per espropriarlo dalla convivialità e dal confronto, dalla possibilità di sbagliare e correggersi, dalla possibilità di parlare. È un’altra riduzione del libero pensiero. È il nuovo tentativo di eliminare i luoghi di produzione della cultura di cui la modernità dispone, che ci propone come cittadini del mondo. Non riusciranno naturalmente ad arginare la dirompenza della parola nel web, ma il tentativo stesso, oltre che ad essere stupido, è il simbolo della deresponsabilizzazione della cultura che questo declino italiano imponendo. Fare della cultura un prodotto, invece, è un messaggio politico a tanti amministratori locali e nazionali, di tutti gli schieramenti, distratti dalla minaccia del deficit e dai propri interessi spiccioli. Noi vogliamo richiamare, sig, Presidente, tutti alla responsabilità del Buon Governo, alla qualità della vita, alla realizzazione di una città conviviale in cui lo strumento non superi mai l’umano. Noi non vogliamo utilizzare la cultura per passare, come ha tentato il comunismo di una certa epoca, dagli interessi privati alla privazione degli interessi. Non era così nel Rinascimento, non è così la cultura e non è così il Buon Governo. Noi vogliamo sostenere il libero confronto per produrre cultura, perché ci sentiamo in grado di esprimere come esempio e come proposta l’alto valore dell’equilibrio tra le parti e gli interessi interagenti in ogni aggregazione umana, in ogni insediamento e, dunque, anche nel web. L’equilibrio è l’essenza della cultura dei luoghi ed è stato il principio egemonico del Buon Governo rinascimentale. Lo può essere anche in una dimensione immateriale e telematica. Il Buon Governo italiano è la responsabilità della cultura: la nostra preziosa icona per il mondo intero. Noi Le chiediamo sig. Presidente, non di estendere le Sue attribuzioni Costituzionali dove non può, ma di aiutarci a ripristinare i luoghi di produzione della cultura italiana, gli spazi del dibattito e del libero confronto, dai laboratori ai seminari, dalle scuole di ogni ordine e grado fino al web. La cultura è oggi comunicazione, cioè libertà di parola. Il confronto critico è il cibo di una “intelligenza che organizza il mondo organizzando se stessa”. |