Maenza, 20 Agosto 2012
Vorrei la tenacia dei comunisti italiani, ma non la loro testardaggine che fa negare, come diceva Bobbio, “i duri numeri della storia”. Vorrei la verve polemica dei grillini, ma non il loro verso da guitto, senza riflessione, sferzante della fatica e della responsabilità politica del concetto. Vorrei la speranza per un modello di sviluppo nuovo, di Sinistra Ecologia e Libertà, ma non la loro noiosa pretigna retorica buonista. Vorrei l’attenzione alla legalità di Italia dei Valori, ma non il legalismo di facciata, atteso e preteso per la propria personale ascesa. Vorrei lo spirito comunitario tollerante e solidale degli ex cattolici e degli ex comunisti assemblati nel Partito Democratico, ma non il comunitarismo omologante indispensabile per affermare la volontà di uno. Vorrei la moderazione critica della meteora centrista italiana, ma non il loro moderatismo conservatore retrivo e ipocrita. Vorrei la spinta alla libertà della destra italiana, ma non il loro liberalismo confusionario e anarchico, funzionale agli interessi del capo di turno. Vorrei la capacità popolare e territoriale dei leghisti, ma non il loro populismo, il localismo becero e infine il razzismo nemmeno mascherato. Vorrei la lealtà della destra radicale, ma non il loro cameratismo e nemmeno il loro teppismo. Mi manca lo spirito del riformismo, la capacità progettuale critica e ideale del socialismo italiano, ma non il loro egocentrismo interessato, il frazionismo acerrimo e pervicace, il riso stolto che ha abbondato sul volto di tantissimi cloni, blazer blu, pantaloni grigi e scarpe di pelle.
Viviamo in una ambiguità radicale permanente. Quando scegliamo uno, scegliamo contemporaneamente il suo positivo e il suo negativo. Paradossalmente sono la stessa cosa. Ciò che è positivo è anche ciò che è negativo. Questa è l’ambiguità radicale permanente della nostra epoca. In ogni attimo della nostra vita, in ogni nostro tempo, convivono gli elementi della generazione e della degenerazione; anzi, gli elementi generativi sono anche gli elementi degenerativi.
Se nella democrazia, come nella politica italiana, sopravanzano i caratteri della degenerazione, per cui coloro che vengono dopo sono peggio di quelli che ci sono stati prima e quindi bisogna temere più di tutti il nuovo, allora vuol dire che i meccanismi della democrazia non funzionano. Non si può essere tolleranti o acquiescenti sulla legge di monopolio televisivo nella società della comunicazione e poi lamentarsi perché il proprio ceto politico non è qualificato. Non si possono dimenticare le liberalizzazione e poi chiedere una imprenditoria in grado di governare i flussi economici e finanziari. Non si può nominare secondo una spartizione politicamente controllata e regolamentata del Consiglio Superiore della Magistratura e della Corte Costituzionale e poi lamentarsi dei magistrati politicizzati. Non si può accettare, ammettere e mantenere una barbarie di civiltà come l’arresto preventivo, che tiene in galera i cittadini per un periodo indefinito e indefinibile, senza processo, senza prove e spesso nemmeno senza indizi (sulla base di una ragionevole possibilità), e poi pretendere una giustizia giusta. Infine, e più di tutto, non si può approvare una legge elettorale definita dal suo autore una porcata e appositamente denominata porcellum ed evitare che elegga dei porci. Quando i meccanismi non funzionano, come nel caso italiano, la democrazia non può riformare se stessa e allora si ha bisogno di un demiurgo, di un qualsiasi demiurgo, imprenditore o tecnico, intellettuale o sacerdote, che in qualche modo gabella le regole e i regolamenti per il bene nazionale che, guarda caso, quasi sempre coincide con il proprio bene personale, sia esso di fame o di fama. Se non funzionano i suoi meccanismi la democrazia diventa una forma retorica vuota. Potremmo dire con una interlocuzione più specialistica che si blocca il suo meccanismo auto poietico. La democrazia non sa più ad auto-generarsi. La cosa che non riesce più a fare è proprio quella che meglio sa fare: riformare se stessa. |