Lettera aperta sulla terapia omicida

Alessandro Ceci

Maenza 28 aprile 2012

 

L’operazione è perfettamente riuscita ma il paziente è morto.

Da anni la filosofia politica insegna che questo è il motto dei Governi tecnici, il cui regime è altrimenti chiamato tecnocrazia. Si tratta di governi indifferenti alle lacrime e al sangue dei cittadini, fermamente convinti, come sono, di avere la panacea per la risoluzione di tutti i mali. La presunzione tecnica ne garantisce la competenza. La competenza li dispensa dalla condivisione. Le uniche cose da fare sono quelle che la presunzione di competenza ha stabilito che si debbano fare.

Ogni contestazione sugli effetti della manovra, se non direttamente sulle cure, è per definizione ingiustificata e destabilizzante rispetto alla terapia da cavallo che tutti gli altri devono subire per garantire, una volta ucciso il corpo, che emerga l’anima integra della cittadinanza. 

Da anni la filosofia politica ha squarciato il velo di mistificazione e il pericolo di una terapia incurante e spesso indifferente ai dolori dei pazienti. Ma la filosofia politica non alberga nelle parole assolute di ogni tecnocrazia autogiustificata. Finché una canzone non spazzerà via re e reami, come diceva Margaret Mead, e le soluzione tecnicamente inequivocabili non mostreranno di essere semplici decisioni politicamente finalizzate. Quando il paziente sarà morto, qualche medico accreditato a livello internazionale per la sua superlativa competenza tecnica ci dirà che, nonostante questo dettaglio insignificante, l’operazione è perfettamente riuscita.

Sennonché una terapia si può definire come perfettamente riuscita, solo quando ha curato i suoi pazienti, magari lasciandoli in vita. Subito dopo la presentazione del programma del Governo Monti si chiedeva ai politici perché, se lo condividevano, non lo avessero fatto prima loro quel programma. Certo c’è la dequalificazione e l’interesse del ceto politico italiano. Certo c’è l’incapacità e la paura di perdere il consenso necessario a mantenere il proprio privilegio. Certo c’è un precipitato storico che riguarda tutti, da cui provengono gli stessi politici e tecnici che si assumono oggi il diritto alla risoluzione. Ma c’è anche che la politica, e specialmente la politica democratica, prima di tutto vuole tenere in vita il paziente. La cura viene dopo. La sopravvivenza viene prima. Se c’è una competenza politica dei tecnici è quella di proporre terapie, magari più lunghe, ma che permettano un decorso salubre. Se c’è una competenza tecnica della politica è quella di mantenere in vita il paziente anche se le operazioni non riescono perfettamente. Specie se i pazienti siamo noi e i chirurghi sono sempre loro.  

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