Lettera sul malato anestetizzato e il medico dei pazzi

Maenza 13 settembre 2012

Secondo Barroso, Presidente della Commissione Europea, nonostante che la crisi economica e politica si sia trasformata, in Europa, in emergenza sociale, il modello europeo non è morto e anzi va rilanciato con la costituzione della agognata federazione.

Ma c’è mai stato un modello europeo? Siamo proprio certi che l’Europa abbia proceduto in questi anni seguendo un preciso modello di integrazione e in qualche modo di sviluppo? E se così fosse, visti i risultati, non sarebbe il caso di rivederlo questo fantomatico modello? Infine, la costituzione della eventuale inimmaginabile Federazione Europea, non è un modo di cambiare modello?

Di questi interrogativi se ne potrebbero comporre una infinità, sia perché le questioni sono tante, sia perché le parole sono equivoche. Si ha l’impressione che ci si esprima più verso un convitato di pietra, che nessuno conosce, nessuno vede e nessuno sa dove sia, piuttosto  che verso interlocutori fisicamente percepibili ed individuabili delle platee reali e anche di quelle virtuali. Si parla ai mercati, per accattivarsi la loro fortunata benevolenza. Ma chi siano e dove, questi mercati, nessuno lo sa davvero. Ascoltiamo tanti mugugni muti in spazi vuoti. Si tratta di input inviati come i messaggi lanciati nell’oceano dentro una bottiglia, in attesa di ricevere un output di credibilità che attenui la dirompenza dei decisori economici occulti, denominati mercati invece che mercanti. Ma questo costoso corteggiamento non riesce bene. La relazione responsiva non si controlla mai del tutto.

In ogni caso, l’unico modello noto di integrazione europea è quello marginal-funzionalista di Jean Monnet, secondo cui l’Europa politica sarebbe venuta autonomamente e automaticamente, in diretta conseguenza alla integrazione interessata di segmenti economici continuamente aggiuntivi. Ma questo modello, com’è evidente, non ha funzionato, se il suo obiettivo finale, come credo, anzi, come spero, era quello della unità politica.

Non ha funzionato e non funzionerà, perché troppo lento e privo di valenza politica;  che è quel surplus di speranza e aspettative che ha determinato l’avvento degli Stati moderni. Il modello marginal-funzionalista, interamente condotto dal criterio della utilità e della conenienza, ci lascia alla contabilità. E invece l’Europa, per arrivare alla unità politica, deve necessariamente cambiare modello e, principalmente, modello di sviluppo.

È quanto stanno facendo, saggiamente e con calma, alcuni paesi, come la Francia, ad esempio, parzialmente anche la Spagna e minimamente, con estrema difficoltà, la Grecia. L’Italia invece no. L’Italia, per acquisire credibilità sui mercati internazionali, ha stressato il vecchio modello di sviluppo, senza riuscire a riformare alcunché, e ha slabbrato e disarticolato il tessuto sociale. In Italia, più che nel resto d’Europa, c’è una vera emergenza sociale priva di prospettive riformistiche di cambiamento. Questo è il limite profondo della sospensione della democrazia avvenuta con la nomina da parte di nominati del Governo Monti: non ti da il tempo per cambiare davvero le cose. E se non hai uno spazio di tempo opportuno e necessario, indispensabile per riformare lo Stato, per quante operazioni di maquillage tu possa fare con le lacrime e il sangue della macelleria sociale che hai prodotto, non sarai mai davvero credibile.

D’altronde, come puoi pretendere che i nominati che ti hanno nominato modificano lo stato reale delle cose che ha favorito la loro nomina e il loro privilegio? Non ti viene il sospetto che ti hanno nominato proprio per mantenerlo quel privileggio, nella solita gattopardesca litania che è meglio cambiar tutto affinché nulla cambi? Non ti viene il dubbio che, blandito per la riconosciuta competenza, sei solo lo strumento della loro permanenza?

La sospensione della democrazia genera un pantano malarico paludoso da cui è difficile uscire.

Il compianto professore di Scienze Politiche, Paolo Farnetti, sosteneva che per superare una crisi occorre una innovazione e, in modo più radicale, che si può superare una crisi solo con una innovazione. In Italia, e in Europa, c’è la crisi, ma non c’è alcuna innovazione. Resta la pesantezza di un modello di sviluppo obsoleto, tenuto in vita con flebo di sangue sociale, da medici chiamati urgentemente al capezzale di un malato anestetizzato continuamente dai mass media e che non hanno il tempo o la possibilità di curare. Lo possono solo tenere in vita, aspettando di passare la nottata, con il rischio che una crisi più forte e improvvisa lo stronchi definitivamente. Diceva Einstein che un sintomo inequivocabile della pazzia è continuare a fare sempre le stesse cose e sperare che la situazione cambi.

Sappiano Barroso e Monti che, nella filosofia e nella scienza politica, il fatto che il governo dei tecnici produca macelleria sociale è un dato acquisito, quasi un assioma. Quando uno ha la medicina per tutti i mali è disponibile a qualsiasi sacrificio pur di somministrarla. Sempre sulla pelle del povero paziente.

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