L'Iran e le trasformazioni nella geopolitica internazionale
Non credo che sia possibile uno sbocco militare al nucleare iraniano, come afferma Trita Parsi, Presidente di NIAC (National Iranian American Council) una organizzazione non profit di Washington D.C., come non credo che sia in procinto di scoppiare una guerra Usa contro Cina – cosa di cui oziosamente discutono molti analisti conservatori americani – soltanto perché la Cina ha incrementato dell’11,4% le spese militari.
La guerra nucleare è sempre dichiarata, talvolta anche proclamata, ma mai scatenata. Anni di politica estera successivi alla II guerra mondiale dovrebbero averci dimostrato che, dopo Hiroshima, i conflitti globali non scoppiano più. Si generano costantemente soltanto conflitti locali gestibili.
Un conflitto globale che sfugge dal controllo dei suoi contendenti e che rivolge l’offesa a colui che la esercita, non è più possibile. Abbiamo assistito per anni alla dispendiosa collocazione sul teatro europeo di missili nucleari tattici che per fortuna non sono mai esplosi e che mai avrebbero potuto farlo poichè il lancio di uno avrebbe comportato l’immediata reazione dell’altro.
Non credo dunque che gli iraniani, per quanto possano alzare la tensione con i loro comportamenti e con le loro dichiarazioni, invieranno mai una bomba nucleare su Israele. Questa preoccupazione deriva dalla interpretazione di uno scenario politico internazionale vecchio. Ciò che sta avvenendo nel mondo è altro.
Il mondo va verso la costruzione di piattaforme continentali di nazionalità. Si tratta di nazionalità distese su piattaforme continentali, indipendentemente dalle organizzazioni statali che le rappresentano suddividendole impropriamente in parti, in confini geografici ma non più politici, e che resistono soltanto per la gestione del potere e dell’amministrazione delle loro elites dirigenziali. Contro queste tecnostrutture separate avanza la solidarietà nazionale dei popoli, piattaforme territoriali di nazionalità che assorbono gli Stati e i loro insignificanti e incontinenti confini. Gli effetti di una bomba nucleare non restano circoscritti ad una frontiera.
Nella politica internazionale sopravanzano piattaforme continentali di nazionalità perché il mondo procede inevitabilmente verso la ricchezza. Soltanto una vasta area di popolazione assimilata per cultura e modus vivendi può autogestire la propria propensione al consumo. E nel mondo c’è una risorsa incalcolabile: la propensione di milioni di persone che ancora devono davvero cominciare a consumare. La propensione al consumo è il presupposto moderno di ogni ricchezza e di ogni democrazia. Le piattaforme di nazionalità che hanno già speso gran parte della propria propensione sono già note: quella nordatlantica e quella russa. Altre che stanno entrando dentro l’accelerazione del consumo sono già visibili: quella cinese che domina una parte fondamentale del Sud Est Asiatico tra l’oceano pacifico e quello indiano. Altre sono in formazione, come appunto quella araba, quella indiana e quella sudamericana che ha vissuto finora uno sviluppo senza welfare. Altre si formeranno come quella africana o quella australiana che ha già il consumo ma non ha ancora una nazionalità. Insomma il mondo va verso la costituzione di un certo numero di nazionalità sovrapponenti, essenzialmente distese su piattaforme continentali trasversali e integrate da sistemi di comunicazione multimediale. E dunque una bomba esplosa, indipendentemente dagli effetti negativi derivanti dalla reazione, brucerebbe in un sol colpo l’immensa ricchezza dello sviluppo.
Quella bomba, per l’Iran, assieme alla nervatura terroristica di Al Qaeda, serve soltanto ad essere egemone sulla piattaforma di nazionalità di suo riferimento. Infatti, ciò di cui abbiamo preso coscienza dopo l’esperienza del governo Bush e l’avvento della presidenza Obama è che queste nazionalità non si governano con la supremazia militare, ma con la egemonia della politica. E coerentemente a questa consapevolezza la nuova politica estera americana ha abrogato i processi di democratizzazione esogena, portate dall’esterno tramite le armi, e incentivato i processi di democratizzazione endogena, sostenuti tramite i movimenti collettivi interni della Primavera Araba.
Credo che gli iraniani lo sappiano benissimo. Sanno che queste nuove realtà della politica internazionale si governano con l’egemonia politica. E tentano di esercitare la propria egemonia con la forza tecnologica dei satelliti e del nucleare e con la forza militante dei terroristi, Al Qaeda in primis. Difatti ormai anche ufficialmente l’intelligence americana ha preso coscienza di quanto andiamo ripetendo da anni: e cioè che Al Qaeda è preda dei servizi segreti iraniani. Anzi, più precisamente, che i servizi segreti iraniani hanno utilizzato l’organizzazione terroristica ai fini della loro politica estera: da un lato per tenere insieme la nazione islamica; dall’altro per sostenere la propria strategia nucleare direttamente, cioè minacciando gli oppositori, e indirettamente, cioè distraendo la comunità internazionale con attentati terroristici.
È questa una ipotesi che, con un gruppo di ricerca qualificato, stiamo portando avanti da qualche anno, prima al Ce.A.S. (Centro Alti Studi per la Lotta al Terrorismo e alla Violenza politica), poi nei laboratori di analisi del Campus degli Studi e delle Università di Pomezia ed ora nell’ambito del Glocal University Network.
L’ipotesi è suggestiva e, sebbene l’intelligence statunitense la circoscriva al micro evento dell’attuale conflitto siriano, noi riteniamo che si tratti invece di un macro evento che coinvolge tutta intera l’area estensiva della nazione islamica.
Non ci sono dati riservati. Abbiamo seguito l’istinto e l’analisi dell’azione comunicativa dell’Iran, sulla base di una linearità logica dei comportamenti e non su quella dei comunicati umorali o spesso depistanti. La strategia politica mantiene una sua coerenza: deve essere emozionante e non emotiva. L’intelligence deve concentrarsi sulle linearità strategiche, che sono evidenti e visibili nel lungo periodo. In questo senso tutte le informazioni necessarie derivano da fonti aperte. Non c’è niente di più esplicativo dei comportamenti. Anche e principalmente quelli degli Stati.
Tutto improvvisamente appare chiaro se mettiamo, su due mappe georeferenziate, la frequenza degli attentati di Al Qaeda e i momenti caldi della politica nucleare iraniana. Ci sembrava effettivamente strano che, nonostante le ripetute minacce all’Occidente, la maggior frequenza di attentati terroristici avvenisse nella nazione islamica, piuttosto che nei territori nemici. Allora abbiamo ipotizzato che gli attentati di Al Qaeda servissero principalmente a garantire l’egemonia, se non addirittura la supremazia dell’Iran nella sua area di influenza politica. E ci siamo accorti che molti di questi attentati avvenivano frequentemente in ricorrenza delle accelerazioni iraniane sulla politica nucleare. Allora abbiamo pensato che ci fosse una strategia politica precisa, cosa che l’intelligence americana conferma oggi almeno per quel che riguarda i rapporti con la Siria.
In realtà noi crediamo che da tempo gli analisti americani si fossero accorti di questa apparente incoerenza fra i proclami terroristici e le loro azioni. Addirittura tutta la politica estera di Obama, la grande transizione dai processi di democratizzazione esogena (tramite intervento militare) ai processi di democratizzazione endogena (tramite i movimenti della Primavera Araba) sia dettata da una esigenza di contenimento e di isolamento dell’Iran, all’interno della nazionalità islamica. Se questo è vero, non si può pensare che l’ingerenza dei servizi segreti iraniani dentro Al Qaeda e addirittura la eliminazioni di alcuni leader di spicco di quel movimento, sia una strategia circoscritta al problema siriano. Si estende oltre, appunto alla sua piattaforma di nazionalità.
In ogni caso, anche se chiaramente Israele sente forte la spinta egemonica Iraniana per il fatto che incide su un’area geografica condivisa, quella bomba probabilmente non esploderà. Tuttavia questo non significa che l’Occidente, Israele in primo luogo, debbano abbassare la guardia. Anzi, è vero il contrario: proprio perché la forza militare legittima l’egemonia iraniana sul mondo islamico, l’attenzione e anche la preoccupazione politica dell’Occidente deve essere più forte. Lasciare a questo Iran la legittimazione politica sulla nazione araba è un errore clamoroso e la preoccupazione più forte per la stabilità delle relazioni internazionali. Ma concentrarsi sulla bomba nucleare significa cadere nel trucco di essere i moltiplicatori comunicativi di una tattica politica finalizzata a far apparire l’Iran come unico interlocutore internazionale in grado di garantire l’intera nazione araba. È un errore micidiale su cui non dobbiamo cadere.
Il mondo procede rapidamente verso un assetto geopolitico nuovo. Continuare a vedere la politica, anche quella militare, degli Stati con lo sguardo dello scenario internazionale del ‘900 è totalmente fuorviante. Si stanno realizzando grandi nazionalità continentali con leadership statali ben definite, finalizzate alla gestione della propensione al consumo di moltitudini che ancora devono iniziare a consumare, nel mondo islamico, in quello cinese, in quello indiano, in Sudamerica e in Africa. Ciascuno mira ad essere egemone nell’ambito della propria area politica. C’è chi cerca di realizzare questo progetto con delle politiche di sviluppo autoreferenziali, come la Cina. Chi mira ad una egemonia economica per il tramite delle politiche fiscali, come nell’eurozone. Chi utilizza la forza delle armi militari e le organizzazioni terroristiche come per l’area islamica.
Il mondo sta cambiando con una certa rapidità e anche la crisi che stiamo attraversando ci sembra sempre più un effetto di questa transizione piuttosto che il risultato infausto di una speculazione protratta nel tempo.