A
margine di un dibattito sulla riforma elettorale
Alessandro Ceci – ale@alessandroceci.eu
Nicola Rozzi - nicola.rozzi@gmail.com
Terracina,
25.10.2011
Perché
mai il povero elettore dovrebbe rispondere allo stesso modo a due domande
diverse?
Noi
cittadini non siamo mica stupidi.
Voi
ci chiedete: “chi volete che vi governi”?
E
insieme: “Chi volete che vi rappresenti”?
E
noi, vittime di una malattia predefinita, dovremmo rispondere allo stesso modo
a queste due domande notevolmente diverse. Il fatto però è che noi non siamo
stupidi e questa discussione, oltre ad essere incomprensibile, diventa perfettamente
asfittica.
In
realtà noi dovremmo rispondere coerentemente in un modo rispetto alla governabilità
e in un altro modo rispetto alla rappresentanza. Ma voi non ce lo permettete,
costringendoci nella condizione dello studente sfortunato; cioè di quello
studente che di fronte ad una domanda
ambigua del suo professore, qualunque risposta tenti comunque sbaglia.
Non
sarà un caso che quando le democrazie sono state egemoni sui processi storici e
politici, hanno eletto in modo differenziato, ma non difforme, l’Organo Legislativo
dall’Organo Esecutivo. Le Democrazie che hanno dato un impulso storico alla
politica internazionale sono soltanto due: Atene in cui la democrazia è nata;
Washington in cui la democrazia si è sviluppata. Entrambe eleggevano
l’assemblea in tempi e modi diversi dagli esecutivi.
Perché?
Che
cosa si verifica altrimenti?
Qual
è il meccanismo di equilibrio tra due organi diversi?
Quando
due organi nascono assieme muoiono inevitabilmente assieme. Si ingenera cioè
una sorta di processo simbiotico che
inquina le funzioni vitali di entrambi. E questo succede perché:
·
i soggetti istituzionali che vengono
eletti in modo differenziato si controllano reciprocamente senza condizionarsi;
·
mentre i soggetti istituzionali che
vengono eletti in modo indifferenziato, si condizionano reciprocamente senza
controllarsi.
Non
c’entra nemmeno Berlusconi, che al limite dimostra emblematicamente il passaggio
dal criterio della rappresentanza alla relazione responsiva nella democrazia
della comunicazione. A rigore la commistione tra il principio della
rappresentanza e il principio della governabilità vige in Italia, e in altri
sistemi elettorali simili, almeno a partire dal 1948.
Il
punto è che per potersi controllare i soggetti istituzionali devono essere
portatori di una legittimazione autonoma, altrimenti chi è stato eletto dal
popolo (legittimazione diretta) non riesce giustamente a capire perché dovrebbe
essere controllato da un soggetto istituzionale eletto da altro soggetto
istituzionale (legittimazione indiretta – come ad esempio la Corte
Costituzionale italiana) e/o dalla legge, specie se quella legge è prodotta –
come nel paradosso italiano – da un soggetto istituzionale nemmeno eletto, ma
nominato.
Le
democrazie mature hanno rotto questa connivenza ed hanno attribuito a ciascuna
delle due istituzioni una legittimazione autonoma. O almeno l’hanno fatto per i
due organi essenziali: quello che produce le leggi (Parlamento) e quello che le
applica (il Governo). Svolgono funzioni autonome e devono offrirci prestazioni
autonome. Preferiamo che alla produzione di una legge concorrano le esigenze e
le aspettative delle variegate domande, che tanto più ampie e articolate si
fanno con la esplosione della complessità sociale. Ma mai vorremmo che questa
ricchezza di percezioni e di culture si scaricasse sulla funzione di governo
che deve essere efficiente nei modi ed efficace nelle modalità, proprio a causa
della rapida accelerazione delle dinamiche politiche nazionali ed
internazionali. Se svolgono funzioni autonome per fornirci prestazioni
autonome, è giusto e opportuno che siano autonomamente legittimate da elezioni
popolari distinte.
In
effetti l’elezione congiunta tra soggetti istituzionali diversi scatena un infernale
meccanismo degenerativo ricorsivo: se l’esecutivo governa male viene messo in
discussione dall’elettorato assieme alla sua maggioranza che, per non perdere le
elezioni, è costretta a mantenere in vita quell’esecutivo nonostante il suo
malgoverno. Sennonché è proprio questo tenerlo in vita gli fa perdere le
elezioni. È, infatti, raro normalmente che una maggioranza politica si suicidi
dimissionando la sua più alta espressione politica; ma proprio perché non lo
dimissiona quella maggioranza si suicida. In America non è successo nemmeno
dopo i clamorosi casi di impeachment. Figurarsi se mai può accadere quando
entrambi sono espressione della medesima situazione politica. Se nascono
assieme muoiono assieme. Spesso con reciproco danno.
La
relazione simbiotica tra l’esecutivo e il legislativo è sempre stato un limite
notevole per lo sviluppo della democrazia. Lo è ancora di più ora che i
processi sociali sono più spinti. Se il Parlamento fosse eletto ogni cinque
anni non sarebbe più in grado di rappresentare un tessuto sociale che si
modernizza ormai mediamente ogni tre anni. Se il Presidente del Consiglio fosse
eletto ogni tre anni non avrebbe il tempo per governare. Quattro anni è un
ibrido che non serve a nessuno di tutte e due.
Per
ovviare a questi due problemi fondamentali nella selezione della classe
dirigente di una democrazia, e ai molti altri che potranno essere discussi
altrove, agli albori di una riforma elettorale è indispensabile rompere la
relazione simbiotica tra Parlamento e Governo. È un elemento vitale per ogni
sistema politico nella complessità, non proprio dividere, ma differenziare i
soggetti istituzionali e gli organi politici, per dare una risposta legislativa
ed amministrativa congruente alle aspettative dei cittadini. Scindere la relazione simbiotica istituzionale
che è stata, fin qui, un elemento di forte degenerazione della politica
italiana, è oggi una esigenza insuperabile per la modernizzazione generale
dello Stato.
Le
democrazie contemporanea viaggiano sulle linee dell’etere, sulle connessioni
della società della comunicazione. La loro forma muta continuamente, la loro
configurazione liquida – per dirla alla
Bauman - si adatta alle dinamica di movimenti. Le democrazie contemporanee
hanno una morfologia variabile in funzione dei domini relazionali che le
riempiono. I network democratici della società della comunicazione assumono
connotazione in base ad alcuni assimilatori di densità, che per noi sono
strutture conservative di energia sociale. Questi assimilatori di densità,
proprio perché sono caratterizzati da consuetudini ricorsive istintive, cioè da
comportamenti abitudinari non valutabili razionalmente in ogni momento, devono
essere semplici, cioè immediatamente comprensibili e facilmente controllabili.
Tanto più semplici sono le strutture conservative della energia di un network
sociale, tanto più quel network è democratico. Tanto più sono complicate, tanto
più, queste strutture conservative,
richiedono l’intervento politico di una
tecnostruttura specialistica, il cui linguaggio incomprensibile nasconde
un potere incontrollabile, un atto di fede puro sulla loro imparzialità o,
meglio, sulla loro assenza di discrezionalità.
Gli assimilatori di densità più evidenti di ogni democrazia sono il
meccanismo fiscale e quello elettorale. Entrambi, per essere giusti, dovrebbero
essere semplici. Ma non lo sono. Perché non devono essere giusti, ma opportuni.
Non efficaci, ma utili. Non efficienti, ma comodi. L’Italia docet.
In
ogni caso, per quanto riguarda il sistema elettorale, senza entrare nel
dettaglio, il meccanismo più semplice ci sembra quello di rispondere
coerentemente in modo differenziato a due diverse domande e, quindi, l’unico
meccanismo elettorale credibile ci sembra quello che riesce a scindere la
relazione simbiotica istituzionale tra esecutivo e legislativo, eleggendo in
due momenti diversi due organi
istituzionali di versi sottoponendo i soggetti politici a meccanismi elettorali
diversi. Le assemblee possono essere elette con il meccanismo proporzionale per
essere in grado di esprimere la multiforme complessità del sociale in coerenza
con le nuove esigenze di rappresentanza di democrazie della comunicazione in
continua mutazione morfologica. Gli esecutivi possono essere eletti con il
meccanismo maggioritario per essere in grado di semplificare il processo
decisionale nel modo più efficiente e più efficace al fine di evitare la crisi
delle aspettative crescenti dei cittadini elettori, in cui continuamente le
domande aumentano e le risposte diminuiscono con altrettanta continuità. Sarà
compito del Legislatore successivamente, riformare gli altri organi dello Stato
e le procedure di reciproca regolazione affinché, con un sistema di “check and balances” si
riesca a controllare e a mantenere in equilibrio le diverse forme di gestione
del potere della democrazia moderna.
La
logica dell’equilibrio tra poteri è possibile proprio perché, e solo perché, essendo
elette entrambe in modo
differenziato, le Istituzioni Politiche democratiche restano autonome e,
dunque, non possono essere reciprocamente condizionanti.